CHI POSSIEDE IL TUO DNA?” – IL CASO 23ANDME E I RISCHI SULLA PRIVACY GENETICA TRA FALLIMENTI AZIENDALI E VUOTI NORMATIVI
- Dualsolution

- 12 ott
- Tempo di lettura: 2 min
Aggiornamento: 15 ott

Il recente fallimento della società americana 23andMe, leader nei test genetici diretti al consumatore, ha acceso i riflettori sulla gestione dei dati genetici in contesti di crisi aziendale. Con oltre 15 milioni di profili biologici in archivio, la procedura di Chapter 11 aperta a marzo 2025 solleva interrogativi cruciali: cosa succede ai dati genetici in caso di cessione o vendita dell’azienda?
Il problema è aggravato dal data breach del 2023, che aveva già esposto le informazioni genetiche di circa 7 milioni di utenti americani. In risposta al rischio di cessione a terzi, alcuni procuratori generali americani hanno invitato i cittadini a cancellare i propri dati dai server della società, sottolineando la fragilità dell’attuale quadro normativo statunitense.
Negli Stati Uniti, infatti, non esiste una legge federale che regolamenti la protezione dei dati genetici: la GINA (Genetic Information Nondiscrimination Act) vieta l’uso discriminatorio, ma non disciplina il trasferimento o la monetizzazione dei dati.
Il Bankruptcy Code prevede la possibilità di vendita dei dati solo se coerente con la privacy policy vigente, o sotto supervisione di un privacy ombudsman, nominato nel caso 23andMe.
Per gli utenti europei – anche italiani – il problema non è marginale: il GDPR tutela il dato genetico come “dato particolare”, imponendo consenso esplicito e informato, ma non può garantire pienamente la protezione in scenari extra-UE.
La vicenda dimostra quanto sia necessaria una governance sovranazionale, capace di proteggere i dati sensibili anche in contesti di fallimento o acquisizione.
Il caso solleva questioni che vanno oltre la privacy classica:
Chi è il proprietario effettivo del dato genetico?
Può il consenso essere considerato valido a distanza di anni?
Quali limiti devono essere posti alla commercializzazione di informazioni genetiche?
La lezione è chiara: in un’epoca in cui il corpo umano diventa una fonte di dati, il DNA non può essere trattato come una semplice risorsa economica. Servono regole più forti, trasparenza e diritti effettivamente esercitabili, per evitare che l’identità biologica diventi merce.







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