E’ una nota dell’Anci, l’associazione dei Comuni italiani, del 9 settembre a dirlo. La nota in questione analizza e commenta il parere con il quale lo scorso 11 agosto il Consiglio superiore dei lavori pubblici, organo tecnico consultivo del ministero delle Infrastrutture, aveva affrontato il tema degli interventi di ricostruzione in edifici sottoposti a vincolo. Beni culturali e beni paesaggistici sono pertanto su due piani differenti. Per questi ultimi è, infatti, possibile realizzare una demolizione con ricostruzione, con modifiche a sagoma, prospetti e volume precedente, in regime di ristrutturazione edilizia: quindi, con un meccanismo di autorizzazione parecchio semplificato.
L’Anci fissa diversi punti fermi. Si parte dal Dpr 380/2001, modificato dal decreto semplificazioni (Dl n. 76/2020). Quella modifica puntava a prevedere un regime autorizzatorio semplificato, «consentendo, per alcuni casi, in luogo della richiesta del permesso di costruire, la presentazione di una Scia o di una Scia sostitutiva».
Questa semplificazione è intervenuta cambiando la definizione di ristrutturazione edilizia, che ora ricomprende «anche gli interventi di demolizione e ricostruzione con diversa sagoma, prospetti, sedime» e caratteristiche planivolumetriche, finalizzati non solo alle innovazioni necessarie per l’adeguamento alla normativa antisismica (fattispecie già consentita) ma anche «per l’applicazione della normativa sull’accessibilità, per l’istallazione di impianti tecnologici, per l’efficientamento energetico, nonchè aumenti di volumetria finalizzati alla realizzazione di interventi di rigenerazione urbana». Tuttavia l’ultimo periodo della norma, esclude da questa ipotesi «gli immobili sottoposti a vincoli dal Codice dei beni culturali e quelli situati nei centri storici». È proprio su questo punto che ci sono state interpretazioni differenti e che, nei mesi scorsi, alcune amministrazioni hanno chiesto chiarimenti al Consiglio superiore pensando anche ad un’applicazione estensiva del divieto.
La domanda riguarda «la possibilità di intervenire con attività di demolizione e ricostruzione di edifici preesistenti classificabile come ricostruzione edilizia anche con la modifica di sagoma, sedime, prospetti e volume preesistente» su immobili sottoposti a vincolo paesaggistico. Per rispondere, il Consiglio superiore, nel suo parere, si discosta da una circolare del 2 dicembre 2020, firmata dal ministero delle Infrastrutture e dalla Funzione pubblica.
La conclusione cui si è giunti è che per i beni culturali c’è un regime più stringente: qualsiasi intervento che li riguardi, anche se parzialmente demolitivo e/o ricostruttivo, si qualifica come restauro e deve essere autorizzato dalla Soprintendenza competente.
Diverso il caso dei beni paesaggistici, il cui vincolo - spiega la nota Anci - «risiede nell’essere inseriti in aree sottoposte a vincolo paesaggistico (Parte III del Codice), sebbene privi di riconosciuto valore storico, artistico o architettonico intrinseco».
Per questi beni - dicono ancora dall’Anci -, «il Consiglio afferma (in ciò innovando rispetto alla circolare ministeriale) che sarebbe consentito applicare anche in questi ambiti la rinovellata definizione di ristrutturazione edilizia anche attraverso attività di demolizione e ricostruzione comprendente dunque modifiche alla sagoma, al sedime, ai prospetti ed al volume preesistente».
In altre parole, c’è un doppio binario: se per i beni culturali la demolizione con ricostruzione va di regola esclusa, per i beni paesaggistici ci sono molti più spazi di manovra.
Auspichiamo pertanto che, di qui proseguano le notizie positive per gli operatori del settore.
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